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Industry 5.0: una nuova rivoluzione industriale e sociale

Centralità della figura umana, resilienza e sostenibilità: sono questi i punti cardine dell’Industry 5.0, in cui un’evoluzione di pensiero si innesta sulle rivoluzioni tecnologiche dell’Industry 4.0.

Lo scorso decennio ha visto l’avvento della quarta rivoluzione industriale o Industry 4.0, contraddistinta da una crescente compenetrazione tra mondo fisico e digitale. Intelligenza Artificiale, Internet of Things, automazione, robotica, dispositivi connessi, analisi dei dati e stampa 3D sono temi che in parte abbiamo trattato anche su questo blog e che sono entrati nel linguaggio comune proprio in seguito all’ascesa dell’Industry 4.0.
Con la quarta rivoluzione industriale, il processo produttivo è cambiato profondamente: le fabbriche sono diventate smart, la digitalizzazione ha investito e rivoluzionato i flussi di lavoro, la quantità di dati a disposizione è aumentata in modo esponenziale e l’uomo ha dovuto trovare nuovi modi per comprenderli e interpretarli.

Proprio la capacità decisionale e interpretativa dell’uomo ha fatto sì che egli tornasse a essere centrale nel processo produttivo.

Mentre alcune aziende ancora lottano per comprendere i concetti fondanti dell’Industry 4.0 e applicarli al proprio business, il paradigma è già cambiato. Oggi, infatti, l’Industry 5.0, si impone, riportando il focus sulla centralità dell’uomo: per la prima volta nella storia, un’evoluzione del mondo produttivo va di pari passo con un’evoluzione sociale e di pensiero.
L’Industry 5.0, come il nome stesso suggerisce, rappresenta infatti il quinto passaggio fondamentale dell’evoluzione industriale. La prima rivoluzione industriale, avvenuta alla fine del XVIII secolo, aveva visto l’affermarsi della macchina rotativa a vapore: la meccanizzazione aveva così iniziato a sostituire la forza umana nel processo produttivo. La seconda rivoluzione industriale, avviata all’inizio del XX secolo, era stata invece caratterizzata dall’imporsi dell’energia elettrica, dall’utilizzo massiccio di ferro e acciaio e, soprattutto, dalla catena di montaggio, che aveva aumentato esponenzialmente la velocità della produzione, portando alla nascita di una vera e propria produzione di massa. È invece nel ’900 che avviene la terza rivoluzione industriale, segnata dall’avvento dei computer e dell’automazione, e seguita nel secondo decennio degli anni 2000 dalla già citata quarta rivoluzione industriale, guidata dalla connessione e dalla digitalizzazione.
Col susseguirsi di questi momenti storici, però, l’industria non ha mai perso la propria centralità nella società. Secondo l’Unione Europea, l’industria è ancora oggi un vero e proprio Key Driver della transizione economica e sociale: per continuare ad esserlo, dovrà però essere in grado di guidare la svolta digitale e green che è in atto. Al comparto industriale, quindi, non è più richiesto di essere “semplicemente” produttivo ed efficiente, ma anche di dare un contributo alla società nel suo insieme.
Proprio per queste ragioni, la quinta rivoluzione industriale non comporta in realtà grandi sviluppi tecnologici – come era invece avvenuto per le precedenti quattro – ma prende il via da un cambio di paradigma, proponendosi di tenere in considerazione e cercare di risolvere i problemi socio-ambientali che le precedenti rivoluzioni industriali avevano invece trascurato.

Centralità dell’individuo, sostenibilità e resilienza sono i tre punti cardine individuati dall’Unione Europea per lo sviluppo dell’Industry 5.0.

Questi tre punti evidenziano chiaramente la rivoluzione culturale alla base dell’Industry 5.0, che tenta di riconnettere il mondo produttivo ai problemi e alle sfide sociali della contemporaneità. Ma cosa significano in concreto questi tre punti
Partiamo dalla centralità dell’individuo: con l’avvento dell’Industry 5.0, le aziende industriali non si focalizzano più solo sul potenziare il proprio vantaggio competitivo, ma anche sul creare valore aggiunto per i collaboratori. L’umanocentrismo evidenzia come la tecnologia debba ora essere impiegata per adattare il processo di produzione alle esigenze del lavoratore, senza minarne al contempo i diritti fondamentali, come privacy e autonomia. La centralità dell’uomo nell’Industry 5.0 riguarda anche i consumatori: le nuove tecnologie consentono alle aziende di personalizzare sempre di più prodotti e servizi sulla base delle esigenze dei clienti, arrivando a una sorta di “personalizzazione di massa” grazie a tecnologie come la stampa 3D e la produzione additiva.
Le industrie devono poi cercare di essere resilienti, anticipando possibili crisi e reagendo ad esse in modo virtuoso, adeguando processi e strategie. Nella società e nell’economia contemporanea, la capacità di adattarsi ai mutamenti è cruciale: essere resilienti significa non solo resistere ad essi, ma anche adattarsi in modo efficace, garantendo la competitività aziendale sul lungo periodo.
Infine, l’Industry 5.0 vede anche un forte focus sulla sostenibilità, con un tentativo di superare il paradigma di contenimento e mitigazione dell’impatto ambientale, per arrivare a generare un cambiamento positivo concreto. Non si punta più ad una sostenibilità solamente in ottica green, ma a tutto tondo: ambientale, economica e sociale. L’aspetto ambientale rimane in ogni caso centrale. Nell’Industry 5.0, infatti, grande enfasi viene messa sullo sviluppo di un’economia circolare, per minimizzare gli sprechi e l’impatto ambientale dei processi produttivi. L’obiettivo è quello di garantire una risposta ai bisogni delle generazioni attuali, senza però compromettere quelli delle generazioni future. Come possono le moderne tecnologie contribuire al raggiungimento di questo obiettivo? Gli esempi sono numerosi: dall’ottimizzazione della supply chain ai Digital Twin, che rappresentano oggetti fisici in modo virtuale; dalla prototipazione rapida alla scelta di materiali più sostenibili; dall’utilizzo dell’IoT negli impianti alla gestione di ogni fase del processo produttivo sulla basi della Data Analysis.

In questo scenario, i dati forniti dalle macchine restituiscono a chi sa leggerli e interpretarli una visione chiara del presente, ma anche un’indicazione di come potrebbe essere il futuro.

Nel passaggio tra quarta e quinta rivoluzione industriale, non è tanto la tecnologia a cambiare, quanto più il modo in cui si decide di utilizzarla: il vero cambiamento è culturale. Con l’avvento dell’Industry 5.0 il rispetto delle persone e dell’ambiente non è più negoziabile e la tecnologia viene vista come fonte di resilienza, un supporto per affrontare cambiamenti e catastrofi di natura politica, economica, naturale o altro ancora.
Se con l’Industry 4.0 il focus era sull’automazione, con l’Industry 5.0 si sposta sulla collaborazione tra uomo e macchina: è la tecnologia che deve essere al servizio dell’uomo e non viceversa.
Si afferma così un modello di industria collaborativa, la cosiddetta Collaborative Industry, che vede uomini e macchine lavorare insieme, sfruttando le capacità di entrambi per ottenere risultati migliori di quanto sarebbe possibile senza questa collaborazione. Il benessere dei lavoratori è centrale nell’Industry 5.0. Da un lato le macchine e l’automazione consentono di ridurre la monotonia e i lavori più ripetitivi e gravosi a carico dell’uomo. Dall’altro si creano ambienti di lavoro più sicuri e più soddisfacenti, dove il contributo unico dell’uomo viene valorizzato.
Le precedenti rivoluzioni industriali avevano sempre puntato ad incrementare l’automazione, la produzione e, di conseguenza, i profitti. Con la quinta rivoluzione industriale, invece, l’uomo torna ad essere al centro di ogni scelta, e migliorarne la qualità della vita diventa l’obiettivo principale.
Affinché questo sia possibile, anche le aziende devono apportare dei cambiamenti. È ad esempio necessario ridefinire i processi produttivi e i flussi di lavoro, investire in tecnologie avanzate e in infrastrutture digitali e formare adeguatamente i collaboratori, potenziandone le competenze digitali.

Nell’era dell’Industry 5.0, le tecnologie sono viste come uno strumento per potenziare le capacità umane, non per sostituirle.

Con l’aumento della collaborazione tra uomo e macchine, diventa necessario sviluppare nuove competenze e modalità di lavoro: i robot di nuova generazione devono essere più autonomi, ma anche capaci di interagire in modo sicuro e intuitivo con gli esseri umani. È questo il paradigma alla base dei cobot, letteralmente robot collaborativi. Le macchine poi continuano a raccogliere e analizzare enormi quantità di dati in tempo reale: allo stesso tempo, all’uomo è richiesto di saper prendere, proprio sulla base di questi dati, decisioni rapide e precise. Entrambe le parti, in sostanza, affinano le loro competenze generando un vantaggio reciproco.

Le logiche alla base dell’Industry 5.0 oggi arrivano a travalicare il mondo produttivo e aziendale e a pervadere la società intera: per la prima volta nella storia, rivoluzione industriale e sociale vanno di pari passo e nella medesima direzione.

Oggi potremmo infatti parlare di Society 5.0: una società incentrata sull’uomo, che bilancia il progresso economico con la risoluzione dei problemi sociali, e che allo stesso tempo vede una sempre maggiore integrazione tra spazio virtuale e fisico.
Proprio come l’Industry 5.0 rappresenta il punto di arrivo delle quattro passate rivoluzioni industriali, anche la Society 5.0 è un’evoluzione dei modelli precedenti: la società fondata sulla caccia (Society 1.0), quella agricola (Society 2.0), quella industriale (Society 3.0) e quella dell’informazione (Society 4.0).
La definizione di Society 5.0 nasce in Giappone nel 2016. Già nel contesto di quell’anno, è evidente come l’uomo sia sempre più inondato da informazioni e messaggi: è più connesso e informato, ma allo stesso tempo è esposto alle fake news, è bombardato da molte più informazioni di quelle che può effettivamente elaborare e vede il tempo scorrere sempre più velocemente. Proprio come nelle industrie, però, anche nella società la connessione a livello globale e l’analisi della miriade di dati disponibili consentono di adottare processi decisionali migliori.
Ad oggi, una vera e propria Society 5.0 non può ancora dirsi raggiunta, nemmeno in Giappone dove fu ipotizzata per la prima volta. Rappresenta però un possibile e auspicabile scenario futuro: una società prospera incentrata sull’uomo, in cui le tecnologie affermatesi durante la quarta rivoluzione industriale possano essere sfruttate per garantire sviluppo economico e, al contempo, per risolvere i grandi problemi sociali. In uno scenario simile, le tecnologie vengono utilizzate non solo per generare profitto, ma per migliorare la qualità della vita di ogni essere umano.

Per raggiungere un simile obiettivo, e ancor prima per una piena realizzazione dell’Industry 5.0, il tema ha iniziato ad essere normato e incentivato, anche a livello europeo.

Già a gennaio 2021, il rapporto della Commissione Europea ha identificato l’Europa come attore protagonista nella lotta al cambiamento climatico e nella promozione di un’economia circolare. Si è delineata una visione ambiziosa, che mira a far sì che l’industria diventi il motore trainante della trasformazione verso un’economia green e resiliente. L’Industry 5.0  viene vista come un paradigma in grado di sfruttare le nuove tecnologie, garantendo una prosperità che vada oltre l’occupazione e la crescita economica, e che consideri anche il rispetto del pianeta e il benessere dei lavoratori.
Anche la legislazione italiana ha dovuto tenere conto della volontà di promuovere una transizione verso un’economia più verde e sostenibile. Il Piano Transizione 5.0, disciplinato dal decreto legge n.19 del 2 marzo 2024, rappresenta una svolta significativa per il supporto alla digitalizzazione e alla transizione energetica delle aziende italiane. Il Piano, con il decreto interministeriale del 24 luglio 2024 che individua le modalità attuative della disciplina del nuovo credito d’imposta, presenta gli incentivi per le due principali transazioni in atto: quella green e quella digitale. Come ha dichiarato il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso “il provvedimento vuole dare un impulso significativo agli investimenti delle imprese italiane, rendendole più competitive rispetto ai nuovi scenari globali”. Vengono così stanziati 12,7 miliardi di euro per il biennio 2024-2025, sotto forma di benefici fiscali per le imprese: di questi, 6,3 miliardi finanzieranno il Piano Transizione 5.0, mentre altri 6,4 miliardi saranno a disposizione per il Piano Transizione 4.0.

Le sfide da affrontare per una reale implementazione dell’Industry 5.0 sono numerose, ma lo sono anche i vantaggi che da essa deriveranno.

Aumentare la produttività, ottimizzare i consumi, migliorare le condizioni di lavoro, attrarre e trattenere i migliori talenti, adattarsi ai cambiamenti, offrire ai consumatori prodotti migliori: sono solo alcuni dei vantaggi alla portata delle imprese che sapranno trasformare le logiche dell’Industry 5.0 in realtà. La transizione verso una maggiore sostenibilità, una più spiccata centralità dell’uomo e una più forte resilienza sono obiettivi non più posticipabili, necessari per mantenere una reale competitività nel prossimo futuro.